Creatività, libertà e parità fanno ancora paura?
Che la scuola italiana stia
regredendo con le ultime riforme non è un segreto! Ma a ben osservare
penalizzare una disciplina come la Storia dell’Arte, rivela una scelta molto precisa da parte di chi ci
governa. Si teme che stimolare nei giovani la creatività, il senso critico e,
tutto sommato, la libertà di pensiero, sia pericoloso.
Un grande uomo, Danilo Dolci, diceva: «Ostacolare la
creatività è un aspetto della violenza.»
Nella scuola molti docenti credono (forse in buona fede?) di
dover costringere entro binari, ambiti precostituiti, il pensiero dei giovani,
modellandone il cervello secondo loro precisi canoni. Al contrario creare le
condizioni di sviluppo del pensiero creativo, libero da schemi probabilmente
spaventa, poiché apre nuovi orizzonti che potrebbero produrre situazioni
imprevedibili e per questo non controllabili, ma che soprattutto potrebbero
mettere in discussione lo statu quo. Chi
detiene il potere, in una società falsamente democratica e perlopiù corrotta,
non può correre il rischio che vengano stravolte le regole consolidate, anche a
rischio di strangolare la società, come sta avvenendo nel nostro paese.
Nelle vecchie dittature era più facile riconoscere il
volto del responsabile dei disastri socio-economici, oggi è più complesso: è
facile camuffarsi in molti casi da “salvatori della patria”, pur essendo
autentici furfanti!
Perpetuare da secoli nella scuola
l’idea che l’arte italiana si sia sviluppata ed abbia prodotto i capolavori,
osannati nel mondo, solo in alcune, limitate aree geografiche, è un crimine
pedagogico. Nei manuali di storia dell’arte, su cui abbiamo studiato e si
continua ancora a studiare, i giovani del Veneto, della Toscana e del Lazio
trovano riscontro del passato nel territorio in cui vivono, attraverso le opere
degli artisti che vi hanno lavorato. Sono autorizzati a credere che il resto
del paese sia un autentico deserto, dove popoli sottosviluppati non sono
riusciti a produrre niente di appena lontanamente paragonabile ai capolavori
delle loro città. Di contro i giovani delle altre regioni, per esempio la
Sicilia, crescono con l’idea che sono figli di una terra ingrata, in cui non
c’è stata cultura né arte, nella quale si è sviluppata solo la mafia ... si
veicola una pericolosissima idea che produce complessi d’inferiorità, in
particolare in quegli ambienti dove non esiste il supporto di famiglie colte
che possano colmare tali deficienze didattiche. La formazione dei giovani è
questione complessa. La scuola deve creare le condizioni per ancorare,
attraverso la storia e la storia dell’arte, i giovani al loro territorio, ed è
con la conoscenza di esso che si ottengono, da un lato, il senso di
appartenenza per la formazione di una sana coscienza civile, e dall’altro la
consapevolezza del suo valore e quindi della necessità della sua tutela. Invece
si opera creando fratture e rifiuto del proprio luogo e della sua storia,
sottolineandone i valori negativi o semplicemente ignorandolo.
Un crimine pedagogico era anche
quello del regime fascista che inculcava nei giovani l’idea della guerra, come
primaria e più alta attività dell’uomo, scrivendo per esempio sulla palestra
palermitana di Villa Gallidoro, dove si allenavano i giovani: « Voi siete
l’aurora della vita, voi siete la speranza del futuro, voi siete soprattutto
l’esercito di domani.» (sembra incredibile!)
Discriminazioni anti-educative
riguardano anche la totale assenza di nomi femminili nei manuali scolastici e,
come si evidenzia ormai dappertutto, scarsissima presenza nella toponomastica
stradale (meno del 5%) ... Anche questo aspetto, profondamente antieducativo,
contribuisce ad infondere nei giovani la falsa idea della superiorità maschile,
producendo le ben note abberrazioni sociali. E così arriviamo al cognome paritario
dei neonati, ovvia soluzione tanto auspicata e difficile da raggiungere. Mi
piace citare il commento di
una donna: «Il fatto che le donne sopportino tranquillamente, come fosse
naturale, di generare e partorire un figlio bollandolo con un cognome altrui è
un indice di sottomissione in stato di anestesia. Bisogna svegliarle tutte».
Una società volta a ricercare la giustizia e l’equilibrio
sociali non può più ignorare tali aspetti, per troppo tempo inculcati con
colpevole violenza e nel silenzio/assenzo di tutti. (m.a.s.)
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